C’è un tratto dell’Appennino marchigiano che ogni volta riesce a sorprendermi, anche quando penso di conoscerlo già. La gola del Furlo, con i suoi versanti ripidi, il canyon scavato dalla pazienza millenaria del fiume Candigliano e quell’atmosfera primordiale che sembra riportarti indietro nel tempo, è uno di quei luoghi che senti più che visitare.
Arrivarci è sempre un piccolo viaggio emotivo e fotografico, un momento in cui la natura e la storia trovano un punto in comune, e io, come sempre, mi ci infilo in punta di piedi, tentando di raccontare ciò che ho davanti attraverso un obiettivo.
La gola del Furlo
La gola del Furlo si presenta come un corridoio naturale che taglia la montagna con una precisione che nessun architetto avrebbe potuto immaginare. È un passaggio stretto e drammatico, un varco che l’acqua ha scolpito per secoli, rendendo questo luogo non solo uno scenario spettacolare ma anche un crocevia storico.
Camminare lungo la strada che costeggia il fiume significa trovarsi con un piede nel presente e lo sguardo rivolto a millenni di trasformazioni, tra pareti verticali che cambiano colore a ogni ora del giorno. Qui la luce non arriva mai allo stesso modo, rimbalza sulle rocce calcaree, si insinua tra gli alberi, accarezza l’acqua e crea un movimento continuo, quasi ipnotico.
Ogni volta che ci torno ho la sensazione di essere ospite in una cattedrale naturale, come se quelle pareti altissime avessero una voce. Una voce che racconta storie antichissime, storie di fiumi impetuosi, di viaggiatori che attraversavano l’Italia centrale e le Marche, di animali che hanno trovato rifugio tra queste fenditure.
La formazione della gola
La gola del Furlo è il risultato di una battaglia lenta e costante: quella tra il fiume Candigliano e la roccia calcarea della montagna. Migliaia di anni fa, quando il clima era diverso e le acque più impetuose, la corrente ha iniziato a erodere il massiccio del Pietralata e del Paganuccio, modellandolo senza fretta, scavando un passaggio dove sembrava impossibile che potesse esistere un varco. È un processo che continua ancora oggi, anche se con un ritmo impercettibile per noi.
Questa formazione geologica è il motivo per cui la gola ha pareti così verticali e un aspetto tanto scenografico. Le rocce mostrano strati differenti, ognuno dei quali è una pagina di storia, un indizio su com’era questa terra prima che noi arrivassimo. E quando ti trovi lì, tra quelle mura naturali altissime, non puoi fare a meno di percepire la forza di ciò che la natura può fare con il tempo e la determinazione.
La galleria piccola del Furlo e l’eredità romana
Tra i punti che preferisco c’è la famosa galleria piccola del Furlo, una testimonianza incredibile dell’ingegno romano. È una delle cose che mi colpisce sempre di più: mentre la natura scavava la gola, gli uomini si sono messi a lavorare fianco a fianco con essa, cercando di addomesticare il territorio quel tanto che basta per permettere il passaggio della via Flaminia.
I romani, con la loro ossessione per le strade dritte e funzionali, si trovarono qui davanti a una montagna impossibile da aggirare. Così decisero di bucarla. La piccola galleria, scavata quasi completamente a mano, è un’opera che ancora oggi trasmette rispetto. Camminarci accanto significa percepire tutto il peso di un’epoca che ha modellato l’Italia come poche altre.
È sorprendente pensare che quel varco sia sopravvissuto per secoli, resistendo alle piene del Candigliano e ai cambiamenti del territorio. Un pezzo di storia inciso nella roccia, proprio nel cuore della gola.
Le aquile del Furlo
La gola del Furlo non è solo geologia e storia: è anche un luogo vivo, abitato da creature che ormai altrove non trovano più spazio. Tra i simboli della zona ci sono le aquile reali, che volteggiano sopra le cime del Pietralata e del Paganuccio con un’eleganza che toglie il fiato. Osservarle non è semplice, richiede pazienza e un pizzico di fortuna, ma quando capita è uno di quei momenti che non dimentichi.
Vederle planare tra le pareti della gola fa capire il motivo per cui questo posto è così speciale. È una riserva naturale dove gli animali trovano un equilibrio raro, dove gli ecosistemi funzionano ancora come dovrebbero. E ogni volta che ne avvisto una, mi sento come un ospite silenzioso ammesso per qualche secondo nel loro mondo.
Come arrivare alla gola del Furlo da Roma
Arrivare a la gola del Furlo partendo da Roma è un viaggio semplice e piacevole. Io di solito prendo l’autostrada A1 fino a Orte, poi mi immetto sulla E45 in direzione Perugia e proseguo verso Gubbio, per poi raggiungere Acqualagna. Da lì, la gola del Furlo è davvero a un passo. È un percorso che attraversa l’Umbria e poi sfocia nelle Marche, regalando quella sensazione di cambiamento graduale del paesaggio che io adoro: si passa dalle colline morbide del Lazio ai boschi umbri, fino alle montagne marchigiane, che diventano sempre più ripide man mano che ci si avvicina alla destinazione.
Il bello è che il viaggio stesso diventa parte dell’esperienza, soprattutto se lo si affronta con calma, magari facendo qualche sosta per respirare l’aria fresca degli Appennini.
Cosa vedere nei dintorni
La gola del Furlo non è un luogo da visitare e basta: è un punto di partenza ideale per esplorare una porzione d’Italia piena di sorprese. Nei dintorni c’è Acqualagna, patria indiscussa del tartufo dove ogni stagione ha il suo profumo. C’è Urbania, con i suoi palazzi rinascimentali e la tradizione ceramica. C’è Fossombrone con il suo centro storico elegante e silenzioso. E poi ci sono i sentieri che si arrampicano sul Monte Pietralata, regalando panorami che sembrano usciti da una cartolina d’altri tempi.
L’area de la gola del Furlo è una zona che invita a prendersi del tempo, a camminare, a fermarsi a guardare, a sedersi vicino al Candigliano e ascoltare l’acqua che scorre. Più ti muovi, più scopri che questo angolo delle Marche ha una personalità fortissima, fatta di natura, borghi, artigianato e cucina.
Cosa mangiare dopo la visita
Ed è proprio la cucina una delle ragioni per cui non me ne vado mai senza aver messo i piedi sotto un tavolo. Qui, vicino la Gola del Furlo si mangia la crescia sfogliata, si mangiano i salumi marchigiani, i formaggi di pascolo, la pasta fatta in casa, la carne alla brace. Ma la regina indiscussa resta lei: la tartufo culture. Che sia bianco, nero pregiato o estivo, qui lo trovi ovunque, nei primi, nei secondi, perfino negli antipasti. È un territorio che ama mangiare bene e far mangiare bene, e ogni volta è una festa.
Come ho scattato la foto alla gola del Furlo
Lo scatto che vedi qui sopra nasce in uno di quei momenti in cui il paesaggio ti chiama. Stavo camminando lungo il Candigliano e la luce filtrava tra le pareti della gola creando un gioco di contrasti che non potevo ignorare. Ho afferrato la mia Fuji X-T2 con l’obiettivo Fujifilm XF18-55mm F2.8-4R LM OIS WR, impostando ISO 100, 18mm, 0EV, f/5.6, 1/80s, una combinazione perfetta per mantenere nitidezza e dinamica senza perdere dettaglio nelle ombre.
La conversione in bianco e nero è stata quasi naturale: quel cielo movimentato, le pareti rocciose, la vegetazione che sembrava una trapunta intricata e la strada che scorreva sul lato opposto chiedevano una resa che puntasse tutto sull’atmosfera. Nella foto si vede il fiume tranquillo, le montagne che si stringono come quinte teatrali e quella figura umana sul bordo della strada che dà la scala al paesaggio, ricordando quanto siamo piccoli davanti alla natura. È uno scatto che racconta la gola del Furlo, viva, ruvida, drammatica e dolcissima allo stesso tempo.