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ToggleRoma è una città che non smette mai di sorprendere. Ogni angolo nasconde un mito, ogni pietra racconta una storia, ogni evento può diventare un viaggio nel tempo. Durante il Natale di Roma, la rievocazione storica che ogni anno celebra la fondazione della città eterna, mi è capitato di vivere uno di quei momenti che sembrano sospesi tra la realtà e il mito: l’incontro con le Parche.
Tre figure avvolte nel nero, velate, silenziose. Una corda tra le mani. Un paio di forbici pronte a tagliarla. In quell’istante, in mezzo a un corteo storico, mi è sembrato di trovarmi faccia a faccia con il destino stesso, faccia a faccia con le Parche.
Le Parche nella mitologia romana
Le Parche sono tre divinità del pantheon romano legate indissolubilmente al concetto di fato. Nate dalla trasposizione latina delle Moire greche, incarnano le tre tappe fondamentali della vita di ogni essere umano:
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Cloto, colei che fila, rappresenta l’inizio della vita. Tiene in mano il fuso e tesse il filo dell’esistenza.
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Lachesi, colei che assegna, stabilisce quanto sarà lungo quel filo. È lei a distribuire i destini.
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Atropo, colei che recide, è la più temuta. Con le sue forbici taglia il filo della vita, sancendone la fine.
A differenza di molte altre divinità, le Parche non sono soggette all’arbitrio degli dèi. Nemmeno Giove, padre degli dèi, può modificare i loro decreti. Questo le rende uniche: impersonano una forza superiore, ineluttabile, che non si può né corrompere né aggirare. Le Parche sono anche presenti nella mitologia norrena che loro chiamano le Norne.
Simbolo di equilibrio e ordine cosmico
Le Parche non sono solo custodi del destino individuale. Nella cosmologia romana (e ancora prima in quella greca), esse rappresentano l’ordine universale, la stabilità dell’universo. Il loro operato è silenzioso, costante, e riguarda tutto ciò che vive: uomini, dèi, imperi. Ogni cosa che nasce è sottoposta al loro giudizio.
La loro immagine incute rispetto, ma non necessariamente paura. Le Parche non sono malvagie: fanno ciò che va fatto, senza rabbia né pietà. Sono necessarie. Sono giuste, anche se non sempre comprensibili.
Il Natale di Roma: quando la storia sfila per le strade
Il Natale di Roma, celebrato il 21 aprile, è una delle ricorrenze più affascinanti della Capitale. Gruppi di rievocazione storica provenienti da tutta Europa sfilano in costume, rievocando episodi, figure e simboli del mondo romano. Centurioni, senatori, matrone, gladiatori e in questo caso le Parche: tutto contribuisce a riportare in vita la Roma antica per un giorno.
È in questo contesto che ho incontrato le tre Parche. Non era un gruppo qualunque. La loro apparizione era lenta, solenne. Camminavano tenendosi unite da un filo. Nessuna parola, nessun sorriso. Solo gesti precisi, simbolici. In particolare, Atropo impugnava delle forbici, pronta a compiere il gesto finale. Una scena che, in pochi secondi, è riuscita a racchiudere l’essenza del mito.
La fotografia: racconto di un istante senza tempo
Ho scattato la fotografia utilizzando la mia Nikon D5000 con un obiettivo Nikkor AF-S DX VR Zoom 18-55mm f/3.5-5.6G, impostata con i seguenti parametri:
ISO 200, 55mm, 0EV, f/10, 1/200s.
Ho scelto un bianco e nero profondo, per restituire quella sensazione di sospensione temporale. Le figure, completamente avvolte nei loro mantelli neri, emergono con forza dal fondo architettonico. La luce incide sui contorni, crea contrasti netti. Gli sguardi degli spettatori moderni che assistono alla scena sembrano increduli, quasi come se anche loro avessero avuto un attimo di vertigine temporale.
Lo sfondo, con i muri antichi e la pietra consumata dal tempo, completa l’atmosfera. La fotografia non vuole solo documentare una rievocazione: vuole evocare. Raccontare un’idea, un archetipo, un mito che ancora ci appartiene.
Il Teatro di Marcello: un palcoscenico eterno per il mito
A rendere ancora più suggestiva la scena immortalata nella mia fotografia è lo sfondo possente e silenzioso del Teatro di Marcello. Questo monumento, meno noto del Colosseo ma altrettanto affascinante, sorge nel cuore di Roma e rappresenta uno dei luoghi più emblematici della città antica. Voluto da Giulio Cesare e completato da Augusto, fu dedicato al giovane Marcello, nipote e figlio adottivo dell’imperatore, morto prematuramente.
La sua struttura, con i grandi archi sovrapposti su più ordini e le pietre scolpite dal tempo, ha fatto da cornice perfetta alla rappresentazione delle tre Parche. In quella luce primaverile, tra storia e misticismo, il teatro sembrava trasformarsi in un palcoscenico senza tempo, su cui il mito si faceva carne e gesto.
Le pareti antiche del teatro, intrise di secoli di vita e memoria, hanno reso la scena ancora più potente. Non era solo una rievocazione storica: era un dialogo visivo tra passato e presente, tra la Roma degli dèi e quella dei fotografi, tra il mito del destino e l’arte di chi prova a raccontarlo con uno scatto.